by Matteo Ficara
Cari amici lemattiani, una delle cose sulle quali portiamo maggiormente la nostra attenzione quotidiana è… il vocabolario, ovvero quelle parole di uso a tal punto comune, che ne abbiamo completamente dimenticato il contenuto ed il significato.
Da bravo coach (o meglio ancora “scuotitore di abitudini”), ecco che oggi mi soffermo a condividere con voi l’intuizione sulla regola della parola “Vietato”.
Siete pronti? VIA!
La prima, primissima cosa da dire è che la regola sociale della parola “vietato” è plurima e, spesso, conflittuale.
Che cosa sono le “regole sociali”? Abbiamo parlato delle regole delle parole nella recensione al libro “Come migliorare il proprio stato mentale, fisico e finanziario” di Anthony Robbins. Per chi non volesse leggere tutto l’articolo (e sarebbe un gran peccato non farlo), ecco in due parole che cosa sono le “regole”:
Una REGOLA è il contenuto pragmatico di una parola, ovvero la sua rete di possibilità d’azione nella nostra vita. E’ ciò che la parola ci fa fare.
Un esempio molto rapido potrebbe venire dalla parola “amicizia”. Il suo contenuto, fatto di concetti verbali e di esperienze vissute, è differente per ognuno di noi ed è per questo che è così difficile trovare un “vero amico” 😉
Parlando di contenuto sociale, invece, andiamo a toccare un tasto un pochettino più “allargato”: esso è il contenuto che la società stessa in cui viviamo (la cultura, la religione e via dicendo) ci ha inculcato. Sempre per esempio con la parola “amicizia”, diremmo che oggi – tra i giovanissimi – una buona amicizia può richiedere di essere resa nota attraverso facebook. Questo è un atteggiamento dovuto alla regola sociale di “amicizia”, oggi.
La parola “Vietato”, dicevamo, ha almeno due contenuti/regole da tenere in considerazione:
- il “divieto” imposto per legge;
- il “suggerimento” morale.
Come è mio solito, inizio dalla fine. Il Vietato prende funzione (ha regola) di “suggerimento morale” quando ha significato di “è estremamente sconsigliato fare questa cosa”.
Alcuni esempi sono il “vietato attraversare i binari” o “la linea gialla” delle stazioni del treno, oppure il “vietato oltrepassare i fili elettrici” e via dicendo. In ognuno di questi casi il contenuto è di carattere morale, perché ci invita a stare molto attenti a qualche interazione, perché potrebbe causarci danni o peggio.
L’origine di questo genere di regola morale ha carattere pragmatico (una parola che mi piace moltissimo), ovvero ha a che fare con l’uso, con la prassi (pragmata = esercizio, pratica), con il fare. Trattandosi di “uso”, la regola morale diventa prettamente di carattere individuale, ovvero riguarda le nostre azioni nei confronti di un limite esterno.
Nell’altro caso, invece, la regola ha un’origine un poco più complessa, che deriva dalle disposizioni di uno stato, ovvero – in modo più profondo – dall’accettazione di una “sovranità”, che ha poteri decisionali (può decidere), legislativi (può legiferare, ovvero fare leggi) ed attuativi (può attuare le leggi che ha creato).
Ogni stato, ed ogni governo, sono una sovranità sancita ed accettata dalle differenti costituzioni, alle quali ogni cittadino è votato fin dalla nascita per il solo fatto che nasce nel territorio della suddetta sovranità (e a me, questa cosa, sembra una gran bojata… ^_^ ).
Di fatto resta, però, che il significato della regola legislativa (il divieto imposto per legge) ha un carattere prettamente sociale: il “non rubare” – ad esempio – vieta un’azione ingiusta nei confronti del derubato.
Tra i due modi di intendere il “vietato”, solo il secondo (la regola morale) si avvicina – anche se in modo tortuoso – al significato originario della parola.
VIETARE: da vetàre, ovvero “porre tra le cose vecchie”, che han fatto il loro tempo. Quindi “mettere da parte”.
“Mettere da parte”? E tra le cose vecchie, poi! Ma… Che cosa? Noi. Il “divieto” mette noi, enti agenti (individui che entrano in relazione con il divieto), da una parte ed il pericolo dall’altra. Il fatto strano è che noi veniamo messi dalla parte delle “cose vecchie”, mentre il divieto resta dall’altra parte. Che cosa ci sia dall’ “altra parte”, però, l’etimologia non lo spiega.
Per fortuna ce lo spiega il nostro caro amico Igor Sibaldi, quando ragiona sul “divieto di cogliere la mela dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male” e sul profondo significato che questo mito nasconde.
Il mito racconta che Dio impose un solo limite all’agire di Adamo e Eva nell’Eden: il frutto del suddetto Albero. Lo stesso mito ci narra che fu il serpente ad “ingannare” Eva, la quale istigò Adamo a prendere la mela. E fu così che furono cacciati.
Nella lettura senza veli (e di ricco carattere esoterico) che Igor Sibaldi dà di questo passo della Genesi, abbiamo alcune riflessioni interessanti:
- non esisteva un solo Dio, ma più dei, dato che il termine utilizzato per indicarli era plurale (Elohim);
- uno di questi dei (una funzione della divinità, se volete) era Yahweh, che tradotto dall’ebraico antico si trasforma in “il dio di ciò che è”;
- l’altra divinità (o l’altra funzione della stessa divinità) era Eheieh, il dio di “ciò che deve ancora essere” (avvenire);
- Yahweh è il dio che ha imposto la legge;
- Eheieh (l’avvenire) è stato interpretato come il serpente che ha convinto Eva.
In poche parole, quindi, ci sono due principi dello stesso divino che guidano Adamo ed Eva, uno imponendo dei limiti e l’altro invitandoli a superarli. Il limite da valicare, in questo caso, è quello del sacro, del divino: “Se ne mangerai, diventerai come uno di noi”.
Questo mito ci aiuta a comprendere un significato (quello per noi più importante) del termine “vietato” (e del verbo “vietare”), capace di riconnettere le regole di legge, quelle morali, il “mettere tra le cose vecchie” ed il sacro.
I divieti sono spesso (ma non sempre) dei limiti che il nostro Io, l’Universo Interiore, ci pone al fine di espandersi, di rendersi più grande e potente (con più possibilità), allargando i propri confini e lasciando andare sistemi di regole troppo stretti, capaci solo di rubarci energia, rendendoci “vecchi”. Ecco perché il divieto ci “mette tra le cose vecchie”, perché sottraendoci energia, ci rende vecchi!
A questo punto, in modo metaforico, possiamo dire che ogni “limite esteriore” denota un “limite interiore”. Ciò è vero in particolar modo nei segni psicosomatici, ma anche nelle avversità della vita, che capitano spesso in concomitanza dell’esistenza di nostre paure o blocchi interiori (mentali o emotivi). E così, ogni divieto denota che abbiamo accettato delle regole esteriori, dettate da leggi imposte da un’autorità esterna o da una legge morale interiore.
Se tali regole derivano dalla legge, allora è bene rispettarle – almeno fino a che non ne avremo compreso il significato profondo 😉 – perché sono poste tra differenti individui, al fine di mantenere un equilibrio sociale. Se, invece, le regole sono “morali”, allora è bene dare vita ad una ricerca per comprendere se derivano dalla cultura, dalla società, dai mass media oppure se sono effettivamente dei nostri limiti in atto.
Se derivano da “fuori”, è arrivato il momento di metterli alla prova e vedere se, nella nostra esistenza, sono “giusti”.
In ogni caso, comunque, l’invito è a fare attenzione alle “regole interiori” di questi divieti. Solo così potremo comprendere quale sia la loro vera funzione (sostengono la convivenza o paralizzano il nostro mondo?). Solo così potremo renderci liberi.
Alcuni metodi per trovare i propri “divieti morali”? Faiattenzione a tutte quelle volte in cui il tuo dialogo interiore ti dice che NON PUOI FARE qualcosa e chiediti “Perché no?”. Se la risposta è “Perché non si può”, allora c’è qualcosa che non va. ^_^
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