by Matto Ficara
Cari amici lemattiani,
non so voi, ma io mi trovo spesso a fare i conti con qualche mio limite.
Nella mia esperienza, tra libri, corsi e corsetti (;-P) ho avuto modo di cadere spesso in confusione circa “il migliore atteggiamento possibile” (se esiste) da tenere nei confronti dei propri limiti.
Oggi, lontano dal poterne dare LA soluzione, voglio però condividere con voi una riflessione su due metodi che, pur sembrando (ed anche essendo) tra loro contrapposti, si completano a vicenda. Un po’ come nella lezione del Tao cinese.
Sto parlando dell’Intenzione di Dyer e dell’Adesso di Tolle.
Ovvero: azione o ricezione, superamento o accettazione.
Andiamo a vedere…
Per una volta tanto comincerei dal principio, ovvero dal concetto di “limite“.
Proprio stamane discutevo con un mio amico circa il significato di alcuni termini che, pur avendo etimo differente, avevano (nell’antica Roma) significati simili.
I termini erano: termine-termine, limes-limite e sacer-sacro.
Tutti e tre indicano “il finire” di qualcosa, il suo “essere limitato” ed il “non poter andare oltre”.
La cosa che ci interessa veramente, però, è quella che non viene detta.
Ovvero che ogni “confine”, ogni “limite” appunto, demarca la fine di qualcosa e l’inizio di qualcos’altro.
A me piace pensare all’uomo stesso come ad un “confine”: un infinito fuori, al di là degli astri, un infinito dentro, fino alla base dell’energia.
Nell’ambito della formazione, invece, mi capita di sentire che
“il limite indica la tua zona di comfort, per crescere devi superarlo”
come testimonia anche l’aforisma della mitica Vezzali:
«Sono pronta a sfidare i limiti.
La storia li pone,
gli uomini devono superarsi
per generare altri ostacoli
che puntualmente verranno abbattuti.
E’ lo sport, come la vita»
Mentre nella mia formazione spirituale, spesso, incontro frasi del tipo:
“impara ad accettare quello che sei, compreso il tuo limite”
Ed ecco che, da questo paradossale incontro di opposti, nasce questo articolo.
Anzitutto, una domanda:
“E’ proprio necessario scegliere tra l’accettazione ed il superamento del limite?”
Con certezza non lo so, ma mi piace mettere alla prova la realtà.
Non so a voi, cari amici lemattiani, ma a me capitano spesso ambedue le situazioni: accettazione e superamento del limite.
Ogni volta che supero un limite (o che ci provo), lo faccio perché credo che ci sia “qualcosa al di là di esso”, che vale la pena di raggiungere. Ho un obiettivo, insomma, o quantomeno un’intenzione.
Ne “Il Potere dell’Intenzione“, Wayne W. Dyer ci indica una via possibile, una forza cui potersi aggrappare, per trovare quelle energie profonde, insite nel nostro essere divino, che ci permettono di sognare e di rendere vero un sogno, che ci permettono di modificare la realtà e renderla – insomma – più vicina a quello che siamo.
Ed ecco, quindi, che la prima “soluzione possibile” al bivio posto dal limite (ovvero: entrare o uscire), è quella di uscire, di valicare il confine e vedere cosa c’è “al di là” di esso.
Per farlo, uno strumento buono (ed anche una buona direzione), è quello di usare l’intenzione, di darsi cioè una guida da seguire.
Ad ognuno la sua, si intende, che – a parer mio – l’epoca dei “maestri” è giunta al termine (termine) proprio per dare spazio alla ricerca del proprio maestro interiore.
Per cui, in qualche modo, il proprio limite è “quel qualcosa che ci definisce per quello che siamo, anche in base a quello che non siamo o che non siamo ancora”.
Ed è proprio verso quel “non siamo ancora” che ci è possibile di estendere il nostro essere con l’intenzione.
O anche con l’esercizio dei 101 Desideri –> leggi qui l’articolo.
Ma rimane una domanda:
“Ed, invece, con quel limite che ci rendiamo conto indicare qualcosa di non-nostro?”
Beh, a questo limite diciamo “Grazie”, perché ci indica laddove – almeno per ora – è inutile focalizzare la nostra attenzione.
E’ uno degli insegnamenti che ho tratto dalla lezione di “Il Potere di Adesso” di Tolle (nonostante la sua difficile lettura –> vedi commento al post: “Byron Katie, The Work e gli Specchi Esseni”) ed è relativo, in particolar modo, al “portare la propria attenzione al qui e ora”.
Perché?
Perché l’energia va laddove porti l’attenzione (un po’ come un laser).
Il “qui e ora”, o l’Adesso, se preferite, ci insegna ad accettare quello che viene, senza estendere alcuna volitività, desiderio e – in particolar modo – aspettativa.
In più articoli ho riportato dell’insegnamento di “lasciare andare la propria storia personale” (ad esempio in: “Rango. Identità tra Memoria ed Immaginazione”), di “non affezionarsi” a quello che pensiamo di essere, soprattutto se tale immagine di noi stessi è ancorata al passato, perché il passato non è più buono ad identificare quello che siamo ora e, soprattutto, ci limita nella possibilità di essere tutto quello che potremmo essere nel futuro.
Nel caso del “limite invalicabile”, quindi, è necessario abbandonarsi al qui e ora, lasciando andare ogni volitività legata al nostro passato ed anche ogni desiderio di estensione nel futuro, perché ambedue hanno trovato, in questo istante, un limite appunto, un guardiano della soglia che ci indica che non è ora per questa via.
Ma potrebbe sempre divenire una via buona per un altro momento…
Alla fine dei conti, insomma, il limite è il segno (o il segnale, se volete) che abbiamo raggiunto un luogo che merita la nostra attenzione:
- o per essere semplicemente conosciuto nel suo “essere nel qui e ora“, come nostro limite attuale, evitandoci così di sprecare tempo ed energie preziose. Ed è il caso dell’accettazione;
- o per essere superato, perché tale limite è solo il ponte per una nostra possibile crescita. Ed è il caso, invece, dell’intenzione.
I due movimenti devono per forza essere scelti in opposizione?
Io non credo: è possibile che un limite nostro attuale, sia una posibilità di espansione futura.
In qualche modo, alla fine, accettazione ed intenzione sono due facce di una sola medaglia.
Matteo Ficara, LeMat
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