Cari amici lemattiani,
con questo titolo sulla comunicazione “di scacco” e “di gioco”, voglio provocarvi ad un’attenta riflessione su ciò che viene chiamato ‘la comunicazione’ e che, oggi, è di certo l’elemento alla base della nostra società.
Vediamo, ora, le caratteristiche di questi due tipi particolari di comunicazione. Ma prima, una brevissima lista degli elementi fondamentali di ogni comunicazione:
- almeno un emittente;
- almeno un ricevente;
- il mezzo di propagazione del messaggio;
- il messaggio;
- il codice (o linguaggio).
In Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson, “Pragmatica della comunicazione umana”, Astrolabio, troviamo che la comunicazione, ad oggi, viene in massima parte riconosciuta come il feedback, ovvero come tutta la serie di conseguenze che è in grado di generare.
Difatti questa ‘attesa della risposta’ (aspettativa) è un altro paradigma importante nella coniugazione di una buona comunicazione.
Beau Toskich, definito “World Leader in Marketing” dal Management Centre Europe (MCE) di Bruxelles, direbbe che una delle caratteristiche che maggiormente causano noia e frustrazione nella comunicazione è la mancata coerenza tra la tua comunicazione e le aspettative del tuo interlocutore.
Si potrebbe anche definire l’interlocutore come “il cliente”, per via del fatto che un’altra caratteristica della CdS è quella che, di norma, il “risultato” verso cui ci si orienta è la vendita, per cui è necessario che la comunicazione diventi efficace, strategica e/o persuasiva.
Queste ultime sono parole che possono sembrare metalliche.
La sensazione è, difatti, quella di masticare un chewing gum di metallo. Ma dobbiamo fare attenzione al perché di questa sensazione.
Già al solo livello logico-razionale, dobbiamo ammettere che questa sensazione metallica va a cozzare contro quanto abbiamo ammesso pocanzi, quando siamo stati in accordo a dire che la comunicazione DOVREBBE generare la risposta (feedback) che vogliamo, perché DOVREBBE aver veicolato il nostro messaggio.
Ma se la comunicazione DEVE funzionare, allora DEVE essere efficace.
La domanda è: “C’è modo, allora, di rendere questa ‘efficacia’ meno indigesta?”
Certamente.
Qui, ora, mi piace parlarvi rapidamente della PNL (Programmazione Neuro Linguistica), della sua nascita, della sua rapida ascesa e del perché della sua, ancora più rapida, discesa.
Vi riprendo le info direttamente da una tesina, da me scritta per per l’esame in “Pragmatica e Retorica”, intitolata “Il Manifesto Nascosto”, parafrasando Edgar Allan Poe e facendo un inno ad una delle figure retoriche da me preferite (se indovinate a quale figura retorica faccio riferimento, scrivetelo nel commento, c’è un premio che vi aspetta!).
“Negli anni ’70, un linguista ed un matematico statunitensi erano in procinto di fare una delle più grandi scoperte, degli ultimi anni, nel mondo della comunicazione. Oggi conosciamo questo loro grande contributo con il nome di Programmazione Neuro Linguistica (PNL) e le attribuiamo un valore quasi prettamente commerciale, non sapendo nemmeno che questa stessa disciplina, alle origini, ha retaggio psicoterapeutico.
Nasce infatti dalle ricerche di John Grinder e Richard Bandler, nel campo della psicoterapia e, più precisamente, negli studi di quegli psicoterapeuti definiti ‘maghi’, di cui Virginia Satir e Milton Erickson sono i due esempi più illustri e conosciuti”.
Poche righe, ma dicono veramente tutto: l’origine è di natura psicoterapeutica, il decollo ha avuto modo per via dell’utilità del modello, il declino per via dell’applicazione massiva nella vendita.
Il che, cari amici lemattiani, non vuol dire che la Programmazione Neuro Linguistica sia un male.
Anzi.
Come è accaduto per Internet e come, troppo spesso, accade per ogni strumento o metodo, dopo che se n’è fatta mambassa economica, ce lo ritroviamo sul tavolo quotidiano o, ancora meglio, nelle scuole, insegnataci come l’ultimo grido delle verità, pur avendo già il sapore della muffa.
Il che sarebbe comunque una fortuna, perché credo sia importante conoscere le verità profonde su cui la PNL lavora.
In parte ne ho scritto qualcosa su Fb LeMat.percorsi proprio pochi giorni orsono (ecco il post), quando ho riportato un estratto dal libro di Watzlawick sopra citato.
Gli specialisti dicono, e gli psicologi (ed i fisici) confermano, che non esiste un mondo univoco.
Ognuno di noi vive una sua interpretazione del mondo.
Per questo, troppe volte il messaggio che inviamo e che vorremmo arrivasse in un certo modo, al fine che scaturisca un determinato effetto, non arriva affatto o, peggio, causa un effetto indesiderato.
Ecco perché credo fermamente nell’utilità della comunicazione, utilità che mi piace di riconoscere sotto il termine di efficacia, il quale, mi sembra, non ha nulla di male, dato che indica un qualcosa che è efficace, ovvero, che funziona.
Bene.
Ma, se con il termine CdS vogliamo indicare principalmente la comunicazione di vendita, vogliamo anche precisare che non bisogna avere paura della vendita e né, tanto meno, del venditore.
Noi siamo in pieno accordo con tutti quei venditori che seguono corsi di formazione al fine di apprendere tecniche di comunicazione.
Non siamo d’accordo con chi le usa al solo scopo di assicurarsi la vendita (gonfiando il valore irreale dell’oggetto), ma ammiriamo coloro che le usano per aumentare la soddisfazione del compratore aggiungendo valore all’acquirente stesso.
Addirittura, in questo caso, il venditore veste i panni del benefattore, del medico, che si occupa della salute di chi ha di fronte.
Vi prego di ricordarvi, cari amici lemattiani, che nemmeno l’ipnosi può convincerci di fare quello che noi non vogliamo fare.
Utilizzare tecniche per rendere una trattativa più soddisfacente per ambedue le parti ci sembra un bene, perché aumenta il benessere.
Per cui…
di certo possiamo dire che ogni comunicazione DOVREBBE essere efficace, perché ogni comunicazione esiste per veicolare qualcosa.
Si può dire, quindi, che la comunicazione ha sempre un obiettivo.
Quello che cambia è il modo di raggiungerlo.
Abbiamo voluto parlare di CdS e CdG in seguito alla lettura di questo passo: “… in una sequenza di comunicazione, ogni scambio di messaggi restringe il numero delle possibili mosse successive”, trovato a p.121 del testo sopra citato, che ci ha ricordato immediatamente una partita a scacchi.
Questo post nasce dal desiderio di contraddire in parte questa affermazione, che finora è sembrata perfettamente calzante.
A questo punto, allora, la domanda è: “In che senso si può contraddire tale affermazione?”.
Ed ecco che arriviamo alla comunicazione “di gioco”.
Ne parliamo domani, d’accordo?
Matteo Ficara, LeMat
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